Thursday, March 09, 2006

Notizie biograpiche

a cura di Martha L. Canfield

Jorge Eduardo Eielson è nato a Lima (Perù) nel 1924: sua madre apparteneva a una famiglia della capitale e il padre era di origine scandinava, (il nonno era arrivato in Perù verso la fine del secolo precedente e vi si era stabilito).
Scomparso prematuramente il padre, quando Jorge ha appena sette anni di età, gli viene impartita un'educazione alquanto liberale. Cresciuto tra la madre, le sorelle e un fratello, anche lui morto prematuramente, fin da bambino manifesta spiccate tendenze artistiche che si estrinsecano in varia maniera, esercitandosi al piano forte (tutta la famiglia amava la musica), disegnando copiosamente, recitando parte dei suoi autori prediletti, inventando oggetti con qualsiasi cosa gli capiti sotto mano. Eielson stesso, nel corso di qualche intervista, individuerà un nesso tra le sue composite origini etnico-culturali ("le mie quattro culture - dice lui - spagnola, italiana, svedese, nazca, riferendosi in quest'ultimo caso, all'antica civiltà preispanica della costa del Perù) e la varietà dei suoi interessi creativi, non esclusa la curiosità scientifica, filosofica e religiosa.
A quell'epoca la capitale peruviana non è ancora intaccata dall'inarrestabile degrado dei tempi più recenti (degrado che Eielson descriverà con visionaria fantasia nel romanzo Primera muerte de Maria verso la fine degli anni Cinquanta). C'è una relativa stabilità economica, ci sono fermenti culturali ricchi ed aperti alle influenze provenienti dai grandi centri internazionali. Il giovane si nutre quindi e soprattutto di cultura europea. Impara l'inglese e il francese, legge Rimbaud, Mallarmé, Shelley, Eliot e altri autori nelle lingue originali, oltre ai mistici e ai classici spagnoli del secolo d'oro e ai poeti iberici del Novecento. Legge anche i grandi poeti d'America, Poe e Whitman, Dario, Vallejo, Neruda e Borges.
Sempre irrequieto, cambia scuola diverse volte finché, verso la fine degli studi secondari, ha come professore di lingua spagnola l'allora esordiente Jose Maria Arguedas, che, colpito dal talento dell'adolescente, stringe con lui una fraterna amicizia e lo introduce, giovanissimo, nei circoli artistici e letterari della capitale. Ed è sempre Arguedas che lo inizia alla conoscenza delle antiche culture peruviane, quasi sconosciute al giovane a causa di un insegnamento di stampo coloniale.
Nel 1945, a ventuno anni, Eielson vince il Premio nazionale di poesia e l'anno dopo un Premio nazionale di teatro. Da quegli anni datano anche le sue prime tele dove è evidente l'influenza di due artisti molto importanti nella sua formazione: Klee e Mirò. Eielson, che già allora non crede nell'insegnamento accademico fa una sorta di concessione a se stesso quando, grazie all'amicizia col direttore dell'Accademia di Belle Arti di Lima, il noto artista peruviano Ricardo Grau, frequenta per un certo periodo alcune classi di disegno e pittura. Ma ben presto lo stesso Grau - uomo colto e moderno, formatosi a Parigi nell'atelier di André Lothe - lo dissuade dalla frequentazione accademica, ritenendo quegli studi inadeguati per lui.
Nel 1948 Eielson espone per la prima volta in una galleria della capitale, unica allora esistente, un gruppo di opere che già testimoniano la sua naturale versatilità. La mostra comprende disegni, acquarelli, oli, costruzioni con legni colorati e bruciati, oggetti di impronta surreale e "movils" di metallo a forma di spirali appesi al soffitto.
Contemporaneamente scrive per diverse pubblicazioni locali e, in collaborazione con Jean Supervielle, figlio del grande poeta francese Jules Supervielle, dirige una rivista d'arte e letteratura dal titolo premonitorio: "El Correo de Ultramar".
Sempre nel 1948 compie un viaggio a Parigi grazie ad una borsa di studio offertagli dal governo francese. Nella grande metropoli europea il giovane latinoamericano si sente a suo agio. Frequenta subito il Quartiere Latino, allora in piena effervescenza esistenzialista, passe le giornate e le notti nelle caves di Saint-Germain des Près insieme con altri scrittori e artisti provenienti da tutto il mondo, in quello straordinario fulcro di creatività che è la Parigi del dopoguerra.
E' allora che scopre l'arte di Piet Mondrian e poco dopo, insieme al gruppo Madi (capeggiato da Arden Quin e che a Buenos Aires annovera aderenti come Lucio Fontana, Tomás Maldonado, G. Kosice e altri), è invitato alla prima manifestazione d'arte astratta, il Salon des Réalités Nouvelles, fondato da Andrè Bloc. In seguito a questa partecipazione espone anche da Colette Allendy, una delle galleria d'avanguardia più interessanti di Parigi.
E' questo il momento del suo avvicinamento a Raymond Hains, al quale rimarrà legato da una lunga amicizia, tuttora intatta. Più tardi, attraverso Hains, conosce gli altri membri del gruppo del "nouveaux réalistes", con Pierre Restany come mentore spirituale e lucido teorico.
Eielson conclude allora la sua fase geometrica, costruttivista, neoplastica e si reca in Svizzera usufruendo di una borsa di studio dell'Unesco, assegnatagli per i suoi articoli giornalistici. Qui incontra Max Bill. A Ginevra ritorna alla scrittura e nel 1951 compie il viaggio forse più importante della sua vita, venendo in Italia per una vacanza estiva di qualche settimana in compagnia del poeta Javier Sologuren. Non appena mette piede nella penisola capisce che ha trovato la sua terre d'elezione. Arrivato a Roma, decide di rimanervi, prega il suo amico di fargli mandare alcuni libri ed effetti personali e inizia così la sua lunga e intensa esplorazione delle radici latine.
Ancora una volta vince un concorso, indetto dal centro sperimentale di Cinecittà di Roma, per seguire un corso di regia cinematografica -il cinema è una delle sue grandi passioni- ma non rimane a lungo nell'ambiente disgustato da certi aspetti. Nel 1953 espone i suoi "movils" alla Galleria dell'Obelisco, allora il più importante spazio di ricerca della capitale, e in questa occasione conosce Emilio Villa che scriverà un'acuta recensione sulla sua opera per la rivista "Arti Visive", da lui diretta. Tra gli altri Villa gli presenta Alberto Burri e Ettore Colla, col primo dei quali Eielson intavolerà uno stimolante rapporto durante il periodo dei "sacchi", eseguiti nell'atelier di Via Aurora. Anche Giuseppe Capogrossi s'interessa ai suoi "movils" e gli presenta Carlo Cardazzo, in procinto di aprire una galleria a Roma, ma Eielson deciso a continuare la sua strada, declina l'invito del gallerista e interrompe proprio allora la fase dei "movils".
In attesa di riprendere la ricerca visuale, si reca quasi tutte le sere nello studio di Corrado Cagli, in via del Circo Massimo, dove l'artista marchigiano lo accoglie con grande simpatia e gli presenta Afro, Mirko, Salvatore Scarpitta, Richard Serra e altri. In quegli anni conosce anche alcuni dei cosiddetti "artisti di piazza del Popolo", come Piero Dorazio, Achille Perilli, Mimmo Rotella, Antonio Sanfilippo, Carla Accardi, Cy Twombly, Matta, prima ancora dell'avvento della pop art italiana, per la quale Eielson non prova particolare interesse. E' in questo stesso periodo che scrive una della sue più importanti raccolte di poesie, Habitación en Roma, e i suoi due romanzi, El cuerpo de Giulia-no e Primera muerte de María. E' anche il momento della scoperta del buddismo zen e del suo rifiuto della letteratura, con l'approdo a una scrittura iconica, visuale e concettuale che finirà per riavvicinarlo alle arti figurative. Nel 1959 Eielson riprende il lavoro visuale, intento ora a esplorare le sue remote radici americane. Abbandonata l'avanguardia estrema, adotta materiali eterogenei, come terre, sabbie (qualche volta fatte arrivare appositamente dal Perù), argille, escrementi animali, polvere di marmo e di ferro, oltre al cemento con il quale scolpisce la superficie del quadro, e con queste materie costruisce un paesaggio austero, desolato, astratto, quasi metafisico, come è effettivamente quello della costa peruviana. (E' con queste opere che Eielson inizia un lungo e contrastato rapporto con la Galleria Lorenzelli di Milano e Bergamo, rapporto più volte interrotto e ripreso, ma che significherà per lui un buon appoggio sulla scena artistica italiana prima dl suo ritorno a Parigi e quindi nelle Americhe.)
In seguito i suoi paesaggi si popolano gradualmente dell'immagine umana, ricavata attraverso indumenti di ogni sorta: camicie, giacche, blue-jeans, abiti da sera, da sposa, calze, scarpe, cravatte, guanti, cappelli ecc. Questo suo interesse per la simbologia e la funzione sociale del vestiario è ugualmente presente nei già citati romanzi e nel poema Noche oscura del cuerpo, scritto allora, e lo sarà anche più tardi nelle sue performances e installazioni. Attraverso la manipolazione dei vestiti - raggrinziti, strappati, bruciati, attorcigliati e finalmente annodati - Eielson scopre la sua particolare sensibilità per i tessuti.
Ben presto individua la grande energia e bellezza racchiusa nel nodo -peraltro usato come un vero e proprio linguaggio dei suoi avi precolombiani- e inizia, nel 1963, la prima serie dei suoi "quipus" utilizzando tessuti dai colori vivaci, annodati e tesi sul telaio. Approda in questo modo a una vera e propria sintesi culturale, plastica, magica e simbolica allo stesso tempo, e cioè al linguaggio degli antichi amerindi -inteso nel suo aspetto più visuale- in stretta armonia con uno degli elementi fondamentali dell'arte occidentale: il telaio europeo. La dualità tela-telaio, così ricomposta dall'artista, diventa ora un oggetto estetico nuovo che coincide, anche se con segno diverso, col "concetto spaziale" di Fontana, nel quale pure la dualità tela-telaio è messa in evidenza come un'unica protagonista dell'opera. Ma il nodo in quanto tale si riscontra a ogni stadio di civiltà e va dalla semplice funzione utilitaria alla più sofisticate concezioni mitiche, magiche e sacrali. Eielson è consapevole di questo e non pretende di rielaborare nessun linguaggio, ma piuttosto di mettere a fuoco un'entità plastica e cromatica provvista di un contenuto archetipico quasi inesplorato.
Il luogo preponderante che Eielson attribuisce al nodo nel suo codice espressivo è sicuramente dovuto al complesso insieme di significati che esso implica. Il nodo è per lui segno grafico, fondamento estetico, nucleo del colore. Ed è il punto di saldatura fra il passato precolombiano del suo paese e il suo presente storico e artistico. Altri artisti latinoamericani hanno cercato nei codici maya e atzechi o in altre forme dell'arte preispanica un segno che venisse a modulare il loro linguaggio contemporaneo con la suggestione e la profondità delle radici storiche: così hanno fatto il cileno Matta, il cubano Lam, l'uruguaiano Torres-Garcia e altri. Ma solo Eielson ha saputo trovare un fondamento artistico e antropologico nel "quipus" peruviano e ha saputo trasformare l'antico segno quechua nel nucleo estetico e semantico di un linguaggio squisitamente attuale.
Il nodo di Eielson però è anche il momento di incontro fra i suoi vari codici espressivi, dalla pittura alle tele, agli oggetti, alla poesia, nonché fra le due aree in cui si svolge la sua ricerca materiale e metafisica. Esso è visibilmente testimoniato da due quadri dai titoli emblematici: Nodi come stelle / Stelle come nodi. Quindi il nodo lega anche il cielo con la terra, il corpo con il cielo, l'anima con le viscere. Da qui le infinite variazioni dello stesso nodo che esercita molteplici tensioni creando spazi dinamici, diagonali, triangolari o romboidali che spesso conducono a oasi circolari dove l'energia sprigionata dagli annodamenti si distende più serenamente. Altre volte, al posto del nodo con le sue varie tensioni, compaiono fasci di tessuti attorcigliati, che talora sono bandiere, talora indumenti, o puri giochi di tessuti colorati o neutri (iuta, cotone, panno, velluto, ecc.), ma che possono anche presentarsi come oggetti scultorei, tridimensionali, liberati da ogni tipo di superficie o telaio.
A partire dalla Biennale di Venezia del 1964, dove espone i suoi primi "nodi", Eielson ottiene prestigiosi riconoscimenti internazionali, partecipando a grandi mostre in musei come il MOMA o nell'ambito della collezione Nelson Rockefeller di New York, accogliendo ripetuti inviti al Salon des Comparaisons di Parigi, esponendo in gallerie private.
Nel 1967 è a New York e frequenta l'ambiente del Chelsea Hotel dove incontra i maggiori artisti americani della pop art e della nascente arte concettuale. Di ritorno a Parigi, in pieno maggio 1968, partecipa attivamente a quel particolare periodo che segnerà così profondamente la sua creatività. Nel 1969 è invitato alla storica mostra "Plans and Projects as Art" alla Kunsthalle di Zurigo, dove presenta un lavoro dal titolo Scultura sotterranea, una serie di cinque oggetti immaginari e irrealizzabili da seppellire in diverse città del pianeta da lui frequentate (Parigi, Roma, New York, Eningen e Lima). Alla mezzanotte del 16 dicembre 1969, nello spazio della Galerie Sonnabend di Parigi, si tiene "l'inaugurazione" della Scultura sotterranea alla presenza di Eielson, mentre nelle altre città prescelte si svolgono contemporaneamente le "sepolture".
Lo stesso anno Eielson propone all'ente spaziale americano la collocazione di una sua "scultura" sulla Luna. La NASA risponde suggerendogli una data futura, giacché per il momento l'evento è irrealizzabile nell'ambito del "Progetto Apollo". In seguito Eielson proporrà la disseminazione delle sue ceneri sulla superficie della Luna, ritenendo che da sempre il satellite della Terra non è stato altro che un ideale cimitero di poeti.
Seguono altri lavori simili: il Balletto sotterraneo su un vagone in movimento della metropolitana di Parigi; la performance Nage nella campagna parigina; il Concerto della Pace a Documenta 5 di Kassel, su invito di Harald Szeemann; la performance El cuerpo de Giulia-no, tratta dal romanzo omonimo, alla Biennale di Venezia del 1972; la performance Grande Quipus delle nazioni alle Olimpiadi di Monaco di Baviera, interrotta da noti fatti terroristici; la performance Paracas-Pyramid alla Kunstakademie di Dusseldorf, già diretta da Joseph Beuys.
Nel 1976 il romanzo El cuerpo de Giulia-no, già pubblicato in Messico nel 1971 per interessamento di Octavio Paz, che Eielson conosce fin dagli anni parigini, esce in francese per i tipi dell'editore Albin Michel ottenendo una calda accoglienza dalla critica. Nello stesso anno Eielson compie un viaggio in Venezuela, dove presenta Paracas-Pyramid e una mostra di fotografie al Museo de Arte Contemporáneo di Caracas. Prosegue quindi per il Perù, dove l'Instituto de Cultura dà alle stampe la maggior parte della sua opera poetica con il titolo Poesía escrita. Espone in gallerie private e si dedica con fervore allo studio dell'arte precolombiana, con particolare riguardo ai tessuti preispanici, da lui considerati tra i prodotti più straordinari dell'arte tessile di ogni tempo, dotati di una freschezza e modernità che non cessano di stupire, come dimostra la suggestione da esercitata su artisti come Klee, Miró, Picasso, Mondrian, Torres García, Matta, fino a Keith Haring e altri ancora. Nel 1978 gli viene accordata la Guggenheim Fellowship per la letteratura a New York e nel 1979 espone nel Museo de Arte Moderno di Città del Messico. Seguono saggi sull'arte precolombiana, come Puruchuco, El arte y la religión Chavín, Escultura precolombiana de cuarzo, Luce e trasparenza nei tessuti dell'antico Perù, oltre ad articoli vari.
La sua attività nel campo delle arti visive prosegue con mostre personali al Museo de Bellas Artes di Caracas nel 1986, alla III Bienal de Trujillo in Perù nell'87, al Centro Cultural de la Municipalidad de Miraflores a Lima e alla Biennale di Venezia nell'88. Nel 1987 viene pubblicato il suo romanzo Primera muerte de María dal Fondo de Cultura Económica in Messico e nel '90 esce una cospicua antologia delle sue poesie presso la casa editrice Vuelta di Città del Messico, diretta da Octavio Paz; ancora nel '90, invitato da Paz, partecipa alla mostra "Los privilegios de la vista" al Centro Internacional de Arte Contemporáneo della stessa città e tiene una personale all'istituto Italo Latinoamericano di Roma che segna il suo ritorno all'attività artistica in Italia e mette fine - forse - a un nomadismo geografico e culturale che ha arricchito e diversificato i suoi modi espressione ma che gli ha anche procurato qualche incomprensione, in campo letterario come in quello artistico. Basti pensare alla varietà delle sue proposte visuali: sebbene il "quipus" sia la sua invenzione centrale, Eielson pratica anche una personalissima pittura che è una brillante rivisitazione dell'arte tessile preispanica.
Realizza oggetti e installazioni ispirandosi per lo più ai propri scritti, ma anche a testi altrui. Sul piano letterario Eielson è oggi considerato uno dei maggiori poeti di lingua spagnola (le sue poesie sono tradotte in dodici lingue), anche se lui non accetta tale definizione, preferendo essere ritenuto, a seconda del lavoro che fa, semplicemente come "un lavoratore della parola, un lavoratore dell'immagine, un lavoratore del colore, un lavoratore dello spazio e via dicendo".
A tale proposito, in varie occasioni Eielson ha cercato di chiarire la sua posizione, che non è semplicisticamente contestataria nei confronti di un sistema il quale richiede sempre lo stesso "prodotto", ma che corrisponde piuttosto alla sua libertà interiore. Una libertà che gli ha permesso di muoversi da un campo all'altro dell'espressione artistica contemporanea con estrema naturalezza e che gli ha dato modo di sviluppare una visione globale, cosmopolita, planetaria. L'attualità della sua ricerca risiede proprio in questo continuo "spostamento" al fine di creare una sorta di rete di relazioni interattive tra razionalità e magia, tra sacro e profano, tra affettività e concetto, tra visuale e verbale, tra arcaico e moderno. Un universo gemello di quello che ci rivela la fisica contemporanea, che non ammette nessuna gerarchia, nessun punto fermo, nessun "mattone fondamentale".
Per rimanere nel campo delle arti visuali, rispondendo a una domanda su quali tra gli artisti di tutti i tempi consideri più affini a lui, Eielson ha risposto: "Che domanda enorme! Potrei distinguere tra artisti-padri, artisti-madri, e così via. Vorrei semplicemente dire che amo molto la mia grandissima famiglia, la quale comprende gli artisti cicladici greci, gli artisti preispanici d'America, gli artisti zen di Kioto, gli scultori dell'Africa nera, i pittori del Quattrocento fiorentino e fiammingo. E poi Leonardo, Goya, Van Gogh, Cézanne, Picasso, Miró, Malevich, Mondrian, Klee, Schwitters, Torres García, Duchamp, Pollock, Burri, Calder, Brancusi, Rothko, Fontana, Klein, Hains, Manzoni, Beuys, alcuni artisti concettuali e dell'arte povera italiana. Che famiglia migliore si può desiderare?"